Ci sono persone che non si arrendono mai. E ci sono situazioni che hanno maledettamente bisogno di queste persone.  Capita, quando si combatte contro un nemico invisibile chiamato Covid, di vivere situazioni straordinarie che meritano la cosa più semplice da fare: essere raccontate e, se possibile, premiate per il loro alto valore. Nella vita accade di rado, ma questa volta è successo. Oggi il medico e amico Gian Paolo Faralli, per il coraggio e la dedizione al lavoro nei mesi durissimi della pandemia, è stato nominato Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

Torino, 23 maggio 2021

Il dott. Giampaolo Faralli è un medico di famiglia molto conosciuto ed apprezzato nelle Valli di Lanzo, dove da più di 25 anni presta la sua opera. Il suo attaccamento al lavoro e ai pazienti è conosciuto sin dagli esordi delle nostre attività lavorative, iniziate praticamente insieme nella zona.

All’inizio della pandemia, nel febbraio-marzo 2020, non si conosceva ancora nulla del coronavirus; tuttavia il dott. Faralli, visitando senza mai sottrarsi più pazienti con fenomeni pneumonici sospetti, decide di sua iniziativa e a sue spese di dotarsi dei presidi di protezione individuale, al tempo assolutamente non prescritti.

Ho ricordo di averlo salutato nel suo ambulatorio vestito con mascherina e protezione facciale, ignaro che ciò che al momento mi stupiva, a breve sarebbe diventata consuetudine. Dopo pochi giorni il dott. Faralli inizia a manifestare i sintomi del Covid che, essendosi ben documentato, riconosce e diagnostica prontamente. Per questo si isola spontaneamente ed avverte gli uffi ci competenti.

Se non avesse adottato – di sua volontà e ben prima che venissero prescritti – l’uso dei dispositivi di protezione individuale, molto verosimilmente Cafasse si sarebbe trasformata in una seconda Codogno, avendo lui continuato a visitare centinaia di persone mentre ignaro stava incubando il Covid-19.

Nel suo spontaneo isolamento domestico i sintomi incominciano a delinearsi netti, ma gli accertamenti dell’ASL tardano. Ricordo di avergli personalmente portato una bombola di ossigeno in quanto incominciava a maturare una forma di grave polmonite bilaterale.

Dopo una troppo lunga latenza, grazie a ripetute sollecitazioni mie e di altri colleghi, viene finalmente ricoverato in sede ospedaliera a Ciriè, dove le sue condizioni appaiono da subito molto gravi. Dopo pochi giorni nei quali dai suoi racconti emerge tutto il dramma della situazione (“ho visto mancare i miei due vicini di letto, portati via in bare di alluminio”), viene bruscamente liberato dalla ventilazione forzata e informato delle sue condizioni critiche (“mi dissero che entro tre ore sarei morto e mi chiesero il consenso a mandarmi in anestesia profonda per intubarmi, informandomi che le mie probabilità di risvegliarmi sarebbero state del 30%”) e quindi intubato.

Inizia così per me come amico e per la sua famiglia il lungo calvario delle telefonate e dei bollettini di ulteriore aggravamento. In interminabili settimane la situazione si complica, arrivando ad un livello di gravità estremo. Io ero a mia volta auto isolato nel primo lockdown, dato che continuavo a lavorare e non volevo costituire a mia volta un rischio per i miei famigliari.

Nelle lunghe ore di solitudine incomincio a temere l’arrivo di una telefonata che non avrei mai voluto ricevere. Nel frattempo viene ripetutamente dato per morto dalla credenza popolare, con un serpeggiare di voci in grado di ferire amici e famigliari quasi quanto la realtà.

Infine arriva la telefonata, ma per fortuna per comunicarmi che iniziava debolmente a migliorare.

Dopo un decorso non facile e una convalescenza che lo vede rialzarsi con incredibile forza di volontà da una profonda debilitazione, riprende il suo posto nella lotta contro la pandemia, sottoponendosi ad orari e ritmi di lavoro disumani.

Dopo alcuni mesi avverte un sospetto dolore toracico e prima di conseguenze drammatiche si sottopone ad un intervento di coronaroplastica cardiaca con inserzione di plurimi stent per ripristinare una corretta circolazione.

Riduce al minimo la convalescenza per riprendere il suo posto, dedicandosi oltre all’orario di lavoro per l’assistenza ai malati, ad eseguire i tamponi prima ed offrendosi come medico vaccinatore dopo.

In conseguenza di questo nuovo stress emotivo e dello sproporzionato carico lavorativo, matura una emorragia retinica per la quale si sottopone ambulatorialmente a massivi e dolorosi trattamenti laser nell’occhio, che come oculista ho dovuto eseguire personalmente, con la sola richiesta da parte sua di non fermarsi per non mancare agli impegni presi con i pazienti e con le campagne vaccinali.

Attualmente è in fase di miglioramento e pur con il grosso fastidio che una emorragia retinica provoca alla vista e alle sue condizioni morali, continua come sempre a lavorare.

“Dal profondo della notte nera come un pozzo che va da un polo all’altro, ringrazio gli dei, qualunque essi siano, per la mia indomabile anima.”

L’incipit di Invictus, del poeta inglese William Ernest Henley, si addice particolarmente a Gian Paolo Faralli, che ho l’onore di annoverare tra i miei più vecchi e cari amici.

Igor di Carlo