– Ieri ero triste. Pensavo a Antonio (nome di fantasia) Sansone, un tetraplegico oligofrenico (trad: paralizzato e con difficoltà ad esprimersi) ricoverato in un reparto Covid della mia città.
Grazie a Internet mi contatta, a sera tardi dalla Sicilia, una sua parente che segue le mie dirette su Facebook, chiedendomi se potevo aiutarla a rintracciarlo.
Un paio di telefonate nella notte e sono riuscito a metterli in contatto, appena in tempo prima che andasse in coma. Sansone, di nome e non di fatto, si è addormentato senza sentirsi abbandonato da chi lo amava.
Da piccolo piccolo, vivevo nel centro di un paese alla periferia di Torino e passavo ore alla finestra ad osservare la gente. Ogni figura mi raccontava una storia ed io guardavo i loro movimenti: come erano vestiti, cosa tenevano in mano.
Erano gli anni ‘60. C’era un uomo minuto che si chiamava Loggia, manovale infervorato dal comunismo del tempo che portava con orgoglio un fazzoletto rosso al collo.
A sera lo aspettavo da dietro la mia finestra prima di addormentarmi: rientrava dopo la bevuta in osteria e puntualmente si fermava davanti alla nicchia votiva dell’asilo infantile Buridani.
Osservava che non ci fosse nessuno per strada e furtivo si genufletteva, baciando un piccolo crocifisso disseppellito dal fazzoletto rosso.
Anima beata, sembrava uscita da un racconto di Guareschi.
Di giorno passava ancora qualche carro tirato lentamente da un cavallo con la cavezza, mentre la Lancia Fulvia HF del meccanico del paese doveva dargli la precedenza. E poi c’erano gli anziani, in particolare una vecchina col capo coperto, il rosario nelle dita nodose, sofferente nell’andatura incerta.
Quando la vedevo mi commuovevo, pensavo che avrei voluto fare qualcosa per lei.
Già da piccolo non sopportavo la sofferenza degli indifesi, la mia strada era segnata.